
Legname tagliato in Albania (foto M. Abbà)
Da fine 2025 l’European Deforestation Regulation (Eudr) prende il posto dell’European Timber Regulation (Eutr), rendendo più difficile immettere nel mercato europeo beni prodotti sfruttando illecitamente le foreste. Un cambio normativo con effetti oltre i confini dell'UE
Dietro a quella sola consonante - che cambia nel passaggio da Eutr a Eudr - si muovono interessi e preoccupazioni nelle stanze dell’Unione Europea e all’interno dei suoi confini ma, soprattutto, al di fuori.
Lo slittamento deciso a fine 2024, ha regalato a tutti 12 mesi in più per adeguarsi a dei nuovi vincoli che sono destinati ad allargare il gap tra i Paesi membri che hanno risorse e mezzi e chi no, tra chi è Paese membro e chi sta cercando di diventarlo.
In questa gara contro il tempo, in gioco non ci sono solo i budget degli operatori del settore legno e derivati ma intere economie e società. Per quelle più fragili, il cambio di consonante si sente.
L’Eudr riecheggia nel mondo
Dal punto di vista economico, va prima di tutto considerato che dietro all’espressione “legno e derivati” c’è un’ampia varietà di prodotti che è presente in qualsiasi tipo di settore e di cui si dovranno poter controllare le origini con maggiore precisione. Legno e carta sono diffusi in vari mercati, quanto al packaging, quasi in tutti: per inviare la propria merce all’acquirente, si usano principalmente “confezioni” di carta e cartone.
Dal punto sociale, va tenuto conto che imponendo nuove buone pratiche innovative anti-deforestazione a chi non ha implementato quelle di base, si aumenta il carico di lavoro di chi già arranca.
Per adeguarsi all’Eudr, servono budget e personale formato, strumentazioni tecnologiche all’avanguardia e dati aggiornati e corretti. Non tutti hanno tutto e chi ha poco potrebbe rischiare di restare escluso da mercati fondamentali per la propria economia, finendo per avere sempre meno.
Accanto a questi rischi, ce ne sono altri due ad alto impatto sociale negativo che riguardano i fenomeni di criminalità legati alla deforestazione. Da un lato, i piccoli esportatori, colti impreparati dalle nuove richieste per entrare nei mercati UE, potrebbero essere tentati di mettere la propria attività nelle mani di traffici illeciti di legname, pur di trarne in qualche modo un minimo profitto.
Dall’altro, sempre alla luce della stretta dei controlli prevista, chi è già coinvolto in dinamiche di deforestazione potrebbe adeguare le proprie strategie di raggiro, rendendole ancora più complesse da rilevare, più insidiose e interne. Anche geograficamente e logisticamente parlando, spingendosi in aree più rurali, abitate da popolazioni che vedono nel legno la loro unica fonte di guadagno. Illecito o lecito che sia, ne hanno bisogno.
Tre sfide in corso a Est
Pensando a tali possibili criticità con un occhio alle dimensioni dei mercati in gioco, si tende a volgere lo sguardo verso Asia, Sud America e Africa, i grandi esportatori fragili di prodotti legati alla deforestazione.
Quelli più piccoli e i più vicini, quelli con alte percentuali di foreste ma con le difese basse contro la corruzione con cui vengono gestite, restano ad arrancare da soli. Sia per allinearsi all’Eudr - e non più solo all’Eutr - e continuare a poter commerciare con l’Ue, sia per entrare a farne parte, prima o poi, visto che perché si tratta per lo più dei Balcani in fase di “allargamento”.
La sfida è la stessa per tutti, organizzarsi per essere presto in grado di inviare prodotti di legno o da esso ricavati accompagnati da dati di geolocalizzazione che specifichino l’area di origine e certifichino che essa non ha subito deforestazione negli ultimi anni.
I potenziali impatti negativi che la decisione presa a Bruxelles può scatenare variano di contesto in contesto perché si intrecciano con dinamiche, regolamentazioni e criticità locali. Il caso dei paesi balcanici - candidati membri UE - è peculiare, perché si sovrappongono due countdown - quello per l’adeguamento all’Eudr e quello per l’ingresso in UE - una doppia pressione che può spingere governi o società ad accelerare sulla buona strada o a imboccare scorciatoie, quella della corruzione in primis.
Con soli tre esempi di Paesi protagonisti di questo scenario, si può cogliere la complessità e la specificità della situazione dell’intera area e quanto sia importante non trascurarla perché più piccola o più vicina all’Europa di altre.
Macedonia del Nord
Candidato dal 2005 per entrare in UE, questo Paese scalda i motori per il suo ingresso anche per quanto concerne l’Eudr. Ne sta inserendo alcuni requisiti nelle proprie leggi e prova a ristrutturare gli organigrammi per effettuare controlli e procedure previste. È un esempio di Paese che sta provando a darsi da fare anche se, nonostante gli sforzi governativi, restano i dubbi sul grado di prontezza all'adeguarsi al nuovo quadro normativo.
A chiederselo ad alta voce è Sasho Petrovski, presidente del Centro regionale per la silvicoltura e lo sviluppo rurale (REFORD), pensando alla evidente perdita di capacità umana ultimamente registrata nell'Ispettorato di Stato per le Foreste e la Caccia e alla mancanza generale di governance sul tema.
Qualche speranza la lascia la promessa di adottare sistemi informativi forestali, bolle di consegna elettroniche e dispositivi di tracciabilità digitale del legname “dal ceppo al consumatore finale”, ma servono competenze per sfruttare tutto ciò, sia nelle istituzioni che nel tessuto imprenditoriale.
Proprio per quest’ultimo l’Eudr sarà una grossa sfida, ma c’è ancora il tempo per trasformarlo in opportunità attraverso programmi e progetti per lo sviluppo di “capacità locale di attuazione”, anche supportati dalla stessa UE. La Macedonia del Nord sembrerebbe avere spazio di manovra per compiere un percorso virtuoso, soprattutto se saprà far comprendere ai propri cittadini che porterebbe vantaggi a tutti.
Una maggiore sostenibilità del settore forestale interno creerebbe infatti nuovi posti di lavoro e un aumento del business in mercati in cui il Paese già oggi gioca un ruolo internazionale come quello del “fire wood” (legno da ardere), per esempio.
(Fonte: report SUSTAINABLE FOREST MANAGEMENT IN THE WESTERN BALKAN REGION di SWG)
Non trascurabili sarebbero anche i vantaggi ambientale a lungo termine che il Paese potrebbe capitalizzare per attuare con più coraggio e vigore quella transizione verde e giusta che l’Europa prima o poi pretenderà: meglio non procrastinarla e cogliere l’Eudr come “abilitatore”.
Bosnia Erzegovina
La Bosnia Erzegovina aspetta di entrare in UE ufficialmente dal 2022, ma si prepara al gran momento dal 2008 anche per quanto concerne la protezione dell'ambiente. Tra le azioni messe in campo finora vi sono l’adesione all'”Agenda verde per i Balcani occidentale” e una miriade di nuove strategie che suonano virtuose solo a chi da lontano non può vederne la mancata applicazione.
La giornalista ambientale freelance Sanja Mlađenović Stević infatti, dalla Bosnia Erzegovina racconta come, sotto a un velo di annunci ufficiali nella direzione dettata dall’Ue, permangano problematiche storiche e ben radicate. La presenza di un “assetto giuridico dello Stato a dir poco complesso”, per esempio, e una generale mancanza di attenzione per natura e ambiente che sfocia in “numerosi atteggiamenti ed episodi irresponsabili da parte di politici corrotti, ma anche dei cittadini e, soprattutto degli investitori stranieri”.
La mancanza di interesse “dall’alto” e di consapevolezza ambientale “dal basso”, lascia spazio a ogni tentativo di speculazione. Mlađenović Stević, parla di “una forte presenza di criminalità e corruzione che espone le foreste a furti, devastazioni e tagli selvaggi” e che l’Eudr non è in grado di intercettare, anzi, rischia di rafforzarli nel momento in cui mette in difficoltà le piccole imprese del settore legno e mobili, chiamate a sbarcare il lunario in un contesto economico difficile e in un’atmosfera politica sfidante. Potrebbero decidere di affidarsi al mercato nero, se quello dell’Ue non risulta più per loro accessibile causa assenza mezzi per offrire dati di geolocalizzazione.
Delle oltre 1.200 ufficialmente registrate, la maggior parte vive di export e dovrà rispettare l’Eudr, in qualche modo, ma ancora non sa in quale e con l’aiuto di chi. Sembra che ad avere le idee chiare ci sia quasi unicamente il settore civile.
“Fortunatamente, soprattutto nel campo dell'ecologia e della protezione ambientale, in Bosnia Erzegovina il settore civile è molto attivo e non teme di innescare anche battaglie legali pur di evidenziare le illegalità dei concessionari e delle stesse autorità governative” racconta Mlađenović Stević. Ci conta molto, come cittadina, e non è la sola.
Molti sono coloro che in questo Paese sperano che il fenomeno della deforestazione non resti nel buio grazie all’azione delle Ong e le sostengono costantemente, soprattutto da quando hanno deciso di unirsi in EkoBiH e provare ogni giorno a rafforzare una strategia congiunta per la protezione della natura. I loro risultati sono sempre più significativi.
(Fonte: report SUSTAINABLE FOREST MANAGEMENT IN THE WESTERN BALKAN REGION di SWG)
Albania
L’Albania gioca le proprie carte per entrare in Unione Europea in modo ancora diverso dai due precedenti paesi e quella ambientale non è certo il suo asso nella manica. È uno dei temi più problematici in questo Paese, non solo per il suo ingresso in Europa.
Prova ne è la moratoria contro la deforestazione interna implementata quasi dieci anni fa, nel 2016, vietando ogni utilizzo del legno delle foreste albanesi, tranne che per il consumo locale lato riscaldamento.
La sua efficacia è un tema ancora aperto, tanto quanto la sua reale applicazione su tutto il territorio nazionale, comprese le aree più interne e remote, là dove si sono spinte le illegalità e le dinamiche di corruzione a seguito della moratoria stessa.
L’attuale timore di chi difende le foreste è che l’Eudr possa avere un simile effetto, un effetto che Gjon Rakipi, giornalista specializzato del Tirana Times fa notare ricordando che, secondo INSTAT, dal 2016 a oggi, la superficie albanese coperta da foreste ha continuato a diminuire e solo dal 2022 al 2023 è calata del 18%.
“La silvicoltura non è solo un problema ambientale, ma anche una questione socio-economica e di governance critica” spiega poi Rakipi, sottolineando come lo spopolamento e il basso tenore di vita della popolazione rurale rendano tuttora difficile cambiare approccio o atteggiamento nei confronti di chi gestisce le foreste a proprio vantaggio, ma in modo incoerente rispetto ai reali interessi del Paese.
(Fonte: report SUSTAINABLE FOREST MANAGEMENT IN THE WESTERN BALKAN REGION di SWG)
Secondo Rakipi, esiste da tempo una vera e propria “mafia del legno” non banale da sradicare.
A maggior ragione in vista dell’Eudr e dell’ingresso in Ue, il primo atto utile da compiere, sarebbe quello di introdurre un organismo di supervisione indipendente che supporti l’Albania nella sfida normativa, strutturale e culturale che ha di fronte.
Oltre ad allineare leggi, definizioni e standard di documentazione, oggi è infatti tuttora necessario anche agevolare finanziamenti, formare personale specializzato e sviluppare tecnologie di monitoraggio e di tracciabilità innovative. In palio c’è la possibilità di continuare ad accedere, o meno, al mercato Ue.
Per l’Ue e i suoi singoli stati, cambia poco, ma per l’Albania, cambia tutto, basta pensare che solo l’Italia pesa sul suo export di legno per oltre il 50%, seguita da Grecia (15%) e Serbia (11%) .
Se la leva economica non basta a motivare il Paese, si può sfoderare quella dell’emancipazione sociale. Una migliore gestione delle foreste potrebbe infatti offrire nuove opportunità per ottenerla attraverso lo sviluppo di attività legate all’ecoturismo o agroforestali.
In entrambi i casi si creerebbero nuovi flussi di reddito alternativi, leciti e sani, sia per l’economia locale che per il territorio.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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