
© Anant Kasetsinsombut/Shutterstock
Stati e regioni europee stanno facendo una certa fatica nell'utilizzare i 526 miliardi messi loro a disposizione dalla politica di coesione per il 2021-2027. Una sfida dal carattere tecnico che però ha anche un forte valore politico
I Paesi dell'Unione europea stanno procedendo a rilento nell'impegnare e spendere gli abbondanti fondi messi loro a disposizione dalla politica di coesione dell'UE per il ciclo 2021-2027. Se è vero che – come ricordato recentemente dal commissario europeo per la coesione Raffaele Fitto – "solitamente si registra un'accelerazione nel secondo periodo rispetto alla fase iniziale", il confronto con il settennio precedente è piuttosto impietoso.
Arrivati ormai a metà del ciclo corrente, alla fine del 2024 era stato speso solo il 5,4% dei 526,6 miliardi di euro pianificati, vale a dire meno della metà rispetto allo stesso periodo del ciclo 2014-2020: alla fine del 2017 era infatti stato speso l'11,6% delle risorse disponibili, e in ogni caso il 51% dei fondi era stato impegnato. Oggi quest'ultimo dato si ferma al 38,5% – in altre parole, significa 324 miliardi di euro di bandi ancora da pubblicare e contratti da firmare.
In ogni caso non finirà tutto nel 2027: secondo i regolamenti dell'UE, l'implementazione e la spesa dei fondi di coesione potranno continuare per almeno un anno all'interno dei programmi precedentemente approvati.
La spesa nel sud-est Europa
A fronte di Paesi come il Lussemburgo e i Paesi Bassi che sono già stati in grado di impegnare oltre il 70% dei fondi a loro disposizione, a fine 2024 oltre la metà degli Stati membri si trovava sotto la media UE del periodo di programmazione 2014-2020. 13 Paesi su 27 si trovavano sotto la media del ciclo corrente, inclusa l'Italia che si trovava al terzultimo posto.
Tra i Paesi del sud-est Europa che spiccano per la capacità di impegnare i fondi di coesione ci sono Romania (57,9%) e Grecia (55,6%); quest’ultima ha anche già incassato l’11,1% dei 25,7 miliardi a sua disposizione.
A fronte di questi due casi positivi, vanno segnalate le difficoltà della Croazia (33% di risorse impegnate, 3,6% spese) e della Bulgaria (33,1% impegnate, 3,7% spese), ma soprattutto della Slovenia, che dei 4,5 miliardi a sua disposizione ne ha impegnati finora solo 748 milioni (16,6%) ed effettivamente spesi 64 milioni (1,4%).
Tra i programmi della coesione nel sud-est Europa che stanno procedendo più a rilento si trovano , per esempio, il programma “Ambiente” della Bulgaria, per il quale l’UE ha finora versato circa 16 milioni di euro sugli oltre 510 previsti, il programma “Inclusione sociale” della Romania e il programma della Slovenia contro la povertà materiale (l’UE ha versato 300.000 euro sui quasi 15 milioni previsti). Spiccano invece in positivo il programma bulgaro “Alimentazione e sostegno materiale di base” e gran parte dei programmi di coesione gestiti da Cipro o dalla Grecia e le sue regioni.
Tra i diversi fondi di coesione, quello che nel complesso sta procedendo più a rilento in Italia e nel sud-est Europa è il Fondo sociale europeo, per il quale finora è stato speso in proporzione poco più della metà rispetto a quanto è stato speso per il Fondo di coesione e per il Fondo agricolo per lo sviluppo rurale. Anche una buona parte dei fondi IPA III – lo "strumento di assistenza preadesione" destinato agli Stati candidati all'ingresso nell'Ue – e del Fondo per la transizione giusta è già stata utilizzata dai Paesi della regione.
Dati ancora parziali
I dati attualmente disponibili indicano che l'Italia è riuscita a spendere solo l'80% dei fondi di coesione a sua disposizione nel periodo di bilancio 2014-2020. Tuttavia, come fanno notare alcuni funzionari europei che preferiscono rimanere anonimi, "quello che la Commissione europea non dice è che quelli non sono i dati definitivi, che arriveranno solo a fine 2026" dopo la deroga approvata nel 2024 che ha spostato di altri due anni la data di chiusura dei pagamenti per quel ciclo di programmazione. Secondo le stime interne all'esecutivo dell'UE, l'Italia dovrebbe riuscire a spendere "quasi la totalità dei fondi. Potrebbe perdere qualche milione, non miliardo", precisano le stesse fonti.
Anche a metà del periodo 2021-2027 l'Italia appare in difficoltà, ma non in modo eccessivo rispetto agli altri Stati membri. Sui circa 73,9 miliardi di euro pianificati, i fondi attualmente impegnati si attestano a 18,5 miliardi (25,1%), mentre quelli effettivamente spesi sono stati 2,9 miliardi (4%). 55,3 miliardi di fondi devono ancora essere allocati dalle autorità nazionali e regionali competenti.
Le ragioni della lentezza
I ritardi nell'uso dei fondi di coesione vanno inseriti nel contesto di un settennio tutt'altro che ordinario. Sia perché la pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi socio-economica hanno rimescolato le carte in tavola anche sul piano dei fondi europei messi a disposizione degli Stati e delle regioni, sia perché a Bruxelles sta cambiando l'approccio verso i fondi di coesione – su impulso di una precisa volontà politica che proviene direttamente dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Analizzando i ritardi nell'attuazione dei programmi coperti dal ciclo 2021-2027 della politica di coesione, non va dimenticato l'impatto dell'attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), che ha inciso sulle spese dell'attuale periodo di bilancio, come ha ricordato lo stesso commissario Fitto. Gli Stati hanno infatti teso a dare la priorità ai progetti coperti dai PNRR, considerata la scadenza più ravvicinata di questo strumento (metà 2026) rispetto a quella dei fondi di coesione (fine 2029).
Sempre nell'ottica di affrontare le conseguenze socio-economiche della pandemia da Covid-19, nel 2022 la Commissione europea aveva inoltre concesso agli Stati membri la possibilità di estendere fino alla fine del 2024 l'utilizzo dei fondi di coesione stanziati per il periodo 2014-2020. La progettazione e l'utilizzo dei fondi del ciclo di bilancio attualmente in corso si sono quindi accavallati con la gestione dei progetti nati nel ciclo precedente.
Prospettive per il futuro
Nonostante le giustificazioni degli attuali ritardi nella spesa dei fondi di coesione, le prospettive per i prossimi anni restano almeno in parte problematiche. Il commissario Fitto ha promesso una maggiore flessibilità e procedure più semplici per favorire l'utilizzo dei fondi ancora non spesi, ma ha specificato che "la trasparenza e i controlli dovranno rimanere uguali per prevenire abusi".
C'è però un rischio più ampio da non sottovalutare. Per ragioni politiche, il gabinetto von der Leyen si sta sforzando per presentare la politica di coesione – così come è strutturata ora – come meno efficiente dei PNRR e della stessa coesione dei cicli precedenti, "lasciando intendere che sia più difficile spenderne i fondi, quando in realtà non è così", avvertono diverse fonti vicine al dossier, che preferiscono mantenere l'anonimato.
Il fine ultimo della presidente della Commissione sarebbe quello di spingere il più possibile per una maggiore centralizzazione della politica di coesione, così da dare alla Commissione un controllo diretto sui diversi programmi attualmente in mano ai singoli Stati o regioni.
Lo dimostrerebbe in primis la scelta di non affermare chiaramente che i dati a oggi disponibili sui fondi 2014-2020 che sono rimasti non spesi sono ancora parziali, favorendo letture poco accurate dei dati parziali. Inoltre i portavoce della Commissione non hanno voluto spiegare i motivi per cui la valutazione finale sul ciclo 2014-2020 della politica di coesione non è ancora stata pubblicata (in base alle scadenze di legge, dovrebbe ormai essere stata conclusa), e anche la valutazione di medio-termine 2021-2027 dovrebbe essere già pubblica ma invece non è così.
"La politica di coesione ha diversi aspetti da rivedere, ma non ci sono evidenze che indichino che quella attuale non funziona o è particolarmente lenta. Anzi, gli studi accademici mostrano che riduce le diseguaglianze territoriali e spende in modo continuativo. La volontà politica sta piegando anche gli aspetti più tecnici", constatano le fonti. Senza dimenticare la spinta della Commissione per dirottare almeno in parte alcuni fondi di coesione verso la difesa: "Fitto non voleva, ma von der Leyen si è imposta per aumentare il controllo su un tema che supervisiona direttamente", confermano.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!