
© LenLis/Shutterstock
Avere una cittadinanza è un diritto umano: oggi, però, in Italia vivono circa tremila apolidi o a rischio apolidia, soprattutto membri della comunità rom originariamente provenienti dall'ex-Jugoslavia. Un paradosso da affrontare con riforme normative e maggiore consapevolezza
“Ogni individuo ha diritto a una cittadinanza”, secondo l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Da questo possiamo dedurre che, chiunque non abbia una cittadinanza di qualunque Paese, subisce una violazione dei propri diritti fondamentali.
Le stime e i numeri non sono mai corretti, mancano dati qualitativi e quantitativi accurati. Dati che riguardano milioni di vite nel mondo degli invisibili e senza-Stato. In Italia vivono oggi circa tremila persone apolidi e a rischio apolidia.
Sono varie le cause che portano una persona a essere apolide: discriminazione su base etnica, razziale, genere o religiosa; conflitti normativi riguardanti l’attribuzione della cittadinanza; dissoluzione e successione di Stati e/o trasferimento di territori tra Stati ed infine la mancanza di registrazione alla nascita.
Oltre il 75% della popolazione apolide registrata al mondo appartiene a gruppi minoritari, ponendo la discriminazione sulla base di un potere di maggioranza precostituito che decide sulle vite altrui, creando leggi che escludono, mettendo le persone in un limbo burocratico spesso senza fine.
Non di rado anche gli Stati occidentali, che si reputano democrazie con minori conflitti interni, sono portatori di discriminazione a causa di leggi discriminatorie sulla trasmissione o l’acquisizione della cittadinanza, in particolare lo ius soli e lo ius sanguinis.
La maggioranza degli apolidi riconosciuti e a rischio in Italia è nata in territorio italiano, e viene naturale pensare che l’Italia sia il loro paese. Invece l’Italia non li riconosce come propri cittadini perché la legge 91/92 in materia di cittadinanza, così come è scritta, rende invisibile l’esistenza di migliaia di bambini e bambine che nascono in Italia e ereditano la condizione di apolidia dai genitori.
Questo fenomeno viene definito dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani come "apolidi in situ". La maggioranza delle persone interessate fanno parte della comunità Rom dell’ex Jugoslavia e i loro discendenti che si ritrovano in situazioni simili.
Sono persone nate in ex-Jugoslavia che non hanno mai acquistato la cittadinanza della RSFJ (non registrate alla nascita), oppure nate in RSFJ e cittadine ma nella successione degli Stati non risultano iscritte ai nuovi registi. Gran parte sono nati in Italia da genitori con cittadinanza di uno dei paesi successori a RSFJ - ma non registrati alle autorità consolari - oppure nati in Italia con difficoltà a reperire certificato di nascita e luogo/data di nascita.
Il 70% dei rom apolidi o a rischio apolidia sono nati e cresciuti in Italia, con origini della Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo. Oltre al caso particolare dei rom “cancellati” in Slovenia e Croazia e ai pochi non registrati nei Paesi post dissoluzione dell'Unione sovietica.
Per essere riconosciuti apolidi ci sono due procedure di determinazione: la via amministrativa - sotto il Ministero degli Interni - molto lenta e incerta e quella giudiziaria - davanti al tribunale civile - più accessibile ma anche dispendiosa. In entrambi i casi si richiedono documenti che accertino la presenza sul territorio fino al momento della richiesta. In caso di assenza della documentazione necessaria le probabilità per l’ottenimento dello status garantito dalla Convenzione del 1954 sono quasi nulle.
Ostacoli pratici, giuridici, burocratici, portano migliaia di persone a essere dei senza-Cittadinanza, arrivando addirittura alla quarta generazione senza l’accesso a diritti sociali, civili e spesso anche diritti fondamentali.
Secondo Nedzad Husovic, 33 anni, nato a Centocelle, a Roma, di origine rom-bosniaca, vivere come persona apolide o a rischio apolidia significa non avere garantiti alcuni diritti che sono sanciti dalla Costituzione italiana. Nedzad, presidente dell’associazione New Romalen (nuova generazione di rom) ed educatore, dopo una lunga procedura durata anni, solo all’età di 32 è riuscito a ottenere lo status di apolide, da cui poter far partire la conta di cinque anni per richiedere la cittadinanza italiana, sempre rispettando gli altri requisiti necessari del reddito e della residenza.
Lo definisce un paradosso: nascere e crescere in Italia e vedersi riconosciuto come primo documento valido lo status di apolide, senza una chiara sicurezza di quando potrà ottenere la cittadinanza.
Sempre Nedzad ci ricorda che la Costituzione italiana garantisce il diritto allo studio dei minori a prescindere dal possesso di documenti, cosi come l’accesso a una serie di benefici legati al welfare. In realtà le autorità competenti sono decentrate e spesso per una serie di diritti e servizi si richiede una residenza anagrafica legata ai genitori che in assenza di documenti portano alla mancanza di accesso ai diritti più essenziali.
Intere vite in attesa e in rinnovo del permesso di soggiorno. Un permesso per soggiornare nell’unico Paese in cui si potrebbe stare, un permesso di soggiorno che non sempre si ha la sicurezza di poter rinnovare, nonostante l’essere nati o cresciuti in Italia.
Essere apolidi non riconosciuti, senza permesso di soggiorno, significa essere considerati irregolari, con il rischio di essere sottoposti a ordini di allontanamento o detenzione amministrativa nei CPR nonostante l’assenza di reale rischio di rimpatrio, poiché non esiste un posto dove tornare. Un limbo legale in cui migliaia di vite vivono nell’insicurezza e nella marginalizzazione, essere a-politici e senza nazionalità.
Non esistono in Italia strutture e alloggi nel sistema di accoglienza per apolidi come esistono per rifugiati e per richiedenti asilo.
Non si può avere accesso completo agli studi, poiché senza documenti non è possibile avere un titolo di studio valido, dalla terza media al diploma di maturità.
Cosi come limitata è anche una via lavorativa regolare, spesso finendo nel settore informale, di sfruttamento e di mancanza di sussistenza e protezione lavorativa. Anche il diritto alla salute viene meno senza un permesso di soggiorno in corso di validità.
Serve prevenire l’apolidia dei nati in Italia e per questo serve cambiare la legge sulla cittadinanza che riguarda l’accesso, secondo l’ art.1, comma 1-bis, legge n.91/92 che i minori nati su suolo italiano da genitori apolidi o da genitori che non possono trasmettere la propria cittadinanza acquisiscano automaticamente la cittadinanza alla nascita, ma questo non accade perché serve necessariamente che i genitori vengano riconosciuti formalmente come apolidi, come abbiamo visto è un processo non scontato, pieno di inghippi burocratici e anni di attesa
Il diritto alla cittadinanza in Italia viene negato spesso per mancanza di dati e consapevolezza oltre che per scarsa preparazione dei funzionari, con una mancata attuazione pratica, privando i minori, al diritto sostanziale della cittadinanza, violando anche il diritto internazionale, portando a un ciclo di apolidia che attraversa le generazioni e marginalizza strutturalmente.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!