Nikol Pashinyan - © Asatur Yesayants/Shutterstock

Nikol Pashinyan - © Asatur Yesayants/Shutterstock

Un’analisi della situazione attuale in Armenia, tra i tentativi di Yerevan di smarcarsi da Mosca e i preparativi per le elezioni del 2026, alle quali il premier Nikol Pashinyan cercherà di rinnovare il proprio mandato. Per il momento, però, i sondaggi non sembrano a suo favore

20/05/2025 -  Onnik James Krikorian

Si intensificano le tensioni in Armenia in vista delle elezioni politiche del 2026. Il primo ministro Nikol Pashinyan si muove in un contesto turbolento, alle prese con le polemiche sulla politica estera del paese, con un calo di consensi e con un'opposizione rinvigorita che, invece di proporre una propria politica credibile, cerca di sfruttare ogni mossa sbagliata del premier.

La posta in gioco è alta e il prossimo anno determinerà non solo il futuro del governo di Pashinyan, ma anche l’evoluzione della giovane e ancora imperfetta democrazia armena.

Il periodo immediatamente precedente alle elezioni amministrative di marzo è stato “caratterizzato da indagini penali, manovre politiche e accuse di corruzione – tattiche a cui probabilmente assisteremo sempre più spesso in vista delle elezioni del 2026”, conclude lo Stockholm Centre for Eastern European Studies. “I tentativi del governo di reprimere le forze di opposizione locale rispecchiano una sua preoccupazione più profonda per l’emergere di veri oppositori a qualsiasi livello”.

Gli sforzi di Pashinyan per normalizzare le relazioni con l’Azerbaijan e con la Turchia con ogni probabilità resteranno in primo piano. Gli oppositori del premier lo accusano di voler tradire gli interessi nazionali, accuse che trovano terreno fertile in un contesto caratterizzato da una recrudescenza della retorica nazionalista e dal disagio dell’opinione pubblica per i rapporti sempre più tesi tra Yerevan e Mosca.

Alcuni recenti sondaggi dimostrano che l’entusiasmo per la tanto lodata virata di Pashinyan verso Occidente è in calo, una virata che potrebbe infatti rivelarsi meramente simbolica. Sembra che l’opinione pubblica sia più incline al pragmatismo che alle narrazioni ideologiche.

Nel frattempo, Pashinyan appare sempre più frustrato, lasciandosi andare a improvvisi scatti d’ira e minacce, come accaduto durante una recente seduta del parlamento. Il premier ha perso la calma, scagliandosi contro i deputati dell’opposizione che hanno accusato il suo partito di corruzione.

Indipendentemente dal fatto che si sia trattato di uno sfogo impulsivo o di un avvertimento deliberato, questo episodio ha rafforzato la percezione, sempre più diffusa, che Pashinyan sia sottoposto a enormi pressioni.

Ad aggravare la situazione, l'aggressione ad un blogger, sostenitore dell’opposizione, da parte di alcuni funzionari filogovernativi di Yerevan, ma anche l’annuncio del governo di voler limitare la libertà di stampa se i mezzi di informazione non riuscissero ad autoregolamentarsi. Crescono le preoccupazioni per la possibilità che le iniziali speranze di riforme democratiche del 2018 sotto la guida di Pashinyan fossero premature. Sono in molti a sostenere che il paese stia retrocedendo.

Un recente sondaggio di MPG/Gallup International, condotto dal 29 aprile al 2 maggio, delinea un quadro cupo sulle prospettive elettorali del partito di governo “Contratto civile”. Solo l’11-11,5% degli intervistati sosterrebbe l’attuale governo se le elezioni si tenessero questo mese.

D’altra parte, circa il 12% appoggia i partiti di opposizione vicini ai due ex presidenti dell’Armenia, Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan. Altri partiti minori potrebbero raccogliere attorno al 5% complessivamente. La percentuale di chi è indeciso o intende votare scheda bianca si aggira invece attorno al 28%, oltre il 6% non ha voluto rispondere al sondaggio, mentre oltre il 18% ha detto di avere difficoltà a rispondere, un 5% circa si è detto contrario a tutto e tutti. 

Dal punto di vista geopolitico, l’opinione pubblica armena resta perplessa sul pieno allineamento alle posizioni dell’Occidente. Nonostante gli sforzi di Pashinyan per allontanare Yerevan da Mosca, il 60% degli intervistati vorrebbe ancora che la Russia fosse coinvolta nei negoziati con l’Azerbaijan.

Intanto, il sostegno all’integrazione europea dell’Armenia è sceso dal 51% a gennaio al 37% a maggio. Molti armeni restano cauti sulla possibilità di tagliare i ponti con Mosca, considerando la costante dipendenza del paese dall’energia e dal commercio russi.

Una dipendenza evidenziata dalla decisione di Pashinyan di partecipare alla parata per il Giorno della Vittoria lo scorso 9 maggio a Mosca, nonostante gli avvertimenti dell’UE. Pur avendo probabilmente irritato Bruxelles con questa mossa, se avesse disertato l’evento Pashinyan avrebbe rischiato ulteriori ricadute economiche e diplomatiche nelle relazioni con la Russia. L’Armenia resta intrappolata in una delicata operazione di bilanciamento che potrebbe rivelarsi difficile da gestire a lungo.

Seppur divisi, alcuni deputati dell’opposizione hanno rilanciato la proposta di impeachment di Pashinyan in vista delle elezioni, anche se le probabilità di successo dell’iniziativa restano basse . Allo stesso tempo, prevale lo scetticismo sulla vittoria di Pashinyan alle politiche del 2026.

Alen Simonyan, presidente dell’Assemblea nazionale armena, è invece ottimista sulla possibilità che il partito “Contratto civile” ottenga oltre il 50% dei voti alle prossime elezioni. Ad ogni modo, è difficile che Pashinyan mantenga il potere assoluto a meno che non vengano introdotte alcune modifiche legislative .

La sua tanto lodata “agenda di pace” con l’Azerbaijan sta diventando un importante tema elettorale. A marzo, Yerevan e Baku hanno annunciato di aver completato il testo di un accordo di pace atteso da tempo.

Tuttavia, l’Azerbaijan resta fermo sulla sua posizione, affermando che nessun accordo potrà essere siglato fino a quando l’Armenia non modificherà la propria Costituzione e non accetterà di sciogliere il Gruppo di Minsk dell’OSCE. L’UE e gli USA spingono per trovare una soluzione, sperando così di garantire un corridoio commerciale attraverso il Caucaso verso l’Asia centrale, bypassando la Russia.

L’opinione pubblica armena resta scettica: dall’ultimo sondaggio MPG emerge che l’86% degli armeni vorrebbe che il testo dell’accordo di pace venisse reso pubblico prima della firma. Pashinyan ha promesso di farlo, ma solo quando la firma sarà imminente.

Nel frattempo, permane un clima di confusione e divisioni. Se il consenso per l’attuale premier si aggira attorno all’11,5%, i tradizionali partiti di opposizione sono messi ancora peggio: solo l’8% degli armeni sostiene i partiti vicini a Kocharyan e meno del 4% quelli legati a Sargsyan.

In questo contesto, in cui il paese appare sempre più disilluso verso l’intera classe politica, potrebbero emergere nuove forze, estranee all’establishment post-sovietico, e colmare il vuoto.

“È possibile portare in piazza i cittadini, ma è molto difficile tenerli lì con dichiarazioni irrealistiche e appelli patriottici al posto di programmi politici”, ha recentemente commentato il politologo Arman Grigoryan. Nel paese aleggia lo spettro dell’instabilità, come ha avvertito anche il Servizio di intelligence estero nel suo primo rapporto annuale pubblicato a gennaio.

Secondo alcuni alti funzionari, la Russia starebbe conducendo una guerra ibrida sin dall’ascesa al potere di Pashinyan nel 2018. Mosca respinge tali accuse, ma lo spazio mediatico è ormai saturo di narrazioni contrapposte, sia interne che esterne, e i meccanismi per diffonderle esistono già da tempo. La posta in gioco è più alta che mai, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e la stabilità.

Se l’accordo di pace con l’Azerbaijan non dovesse concretizzarsi e se l’opposizione dovesse guadagnare nuovi consensi alle elezioni, l’Armenia potrebbe sprofondare in una crisi di incertezza politica.

Le prossime elezioni saranno quindi un banco di prova non solo per Pashinyan, ma anche per la capacità del paese di tracciare la propria strada restando immune da influenze e ingerenze esterne nel prossimo futuro.


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